Il blog di Roberto Zamperini

Se preferite avere un cancro piuttosto che pensare, cambiate Blog

Il Grande Fratello lo stiamo alimentando noi

Perché abbandonare Facebook?

Invito tutti i miei amici a leggere attentamente quanto apparso recentemente su FDF:

Esorto tutti i miei lettori a stare alla larga da questo social network: dovrebbero aver capito che Facebook  è un apparato di disinformazione, falsificazione, provocazione e oltrechè di furto di dati privati, di sorveglianza e controllo delle opinioni e delle identità, che consente per di più il «data mining», ossia di costruire , dall’insieme dei dati che gli incauti sfigati danno di sè senza saperlo, un «profilo» completo di ogni persona, dei suoi gusti, tendenze, opinioni politiche e no. E’ insomma una fonte grezza a disposizione  di interessati di ogni genere, anche del più losco: della pubblicità commerciale come della criminalità organizzata o di servizi segreti ben identificati.

I milioni di sfigati che vi partecipano giulivi aiutano le spie non solo gratis, ma rendendole ricche: hanno fatto dei miliardari dei tizi che si chiamano Zuckerberg e Moskovitz ed altri …,  che hanno messo a punto il sistema. Mark Zuckerberg, il fondatore reso da voi miliardario (voi gli regalate la vostra anima e lui la vende alle «agenzie»), è stato già accusato in passato di aver utilizzato dati a disposizione del social network  di Harvard «per perseguire interessi privati», dando con questo reato inizio alla sua fortuna. Risulta che è stato querelato per furto di proprietà intellettuale, querela che ha tacitato con una transazione per cui ha sborsato 65 milioni di dollari. (In 2004, Mark Zuckerberg Broke Into A Facebook User’s Private Email Account) E’ a un simile personaggio . e a quelli dietro le sue spalle, ancor peggiori di lui . che confidate le opinioni e le scemenze estemporanee che vi vengono in mente, la foto della fidanzata o del vostro matrimonio,  le vostre «amicizie», eccetera. Si può essere più cretini? … chi va su Facebook non riesce a eliminare completamente il proprio account, checchè ne dica Zuckerberg. C’è bisogno di dire di più?

Ed anche:

Prigioniero di Facebook

Da settimane incontro soltanto persone che mi dicono disperate che vogliono uscire da Facebook ma non riescono a farlo. Lo dicono con gli occhi sbarrati e l’espressione di chi chiede aiuto da dietro le inferriate di una galera. Mi sembrano detenuti che dall’alto urlano a chi passa lì sotto, infilano le braccia oltre le sbarre a rimestare nell’aria. Hanno tutta la disperazione di chi sa che il secondino se n’è andato lanciando la chiave nel fiume. È strano pensare che quelle stesse persone fino a un mese fa mi dicevano che senza Facebook non ci potevano stare, che grazie a Facebook si sentivano meglio.

Soprattutto, mi ripetevano che dovevo provarla anch’io, quest’esperienza, perché essere dentro o essere fuori, era come prendere parte alla vita oppure essere morto. Essere «in» oppure essere «out». C’è stato un momento, che perdura, in cui era impossibile sfuggire a conversazioni che non avessero a che fare con Facebook. Qualunque fosse l’origine della discussione, qualunque fosse il fiume di parole che veniva giù dalle bocche delle persone, il mare in cui andava a finire era sempre quello di Facebook.

C’erano amici che quando mi incontravano per strada mi chiedevano «Ci sei su Facebook?». Che era come dire «È inutile perdere tempo qui sul marciapiede, con le macchine che passano, i clacson che non ci fanno parlare, il telefonino, la fretta». «Ci sei su Facebook?», e poi mi piantavano in asso. Li vedevo andar via di schiena, il cellulare tra l’orecchio e la spalla, in mano l’agenda e davanti gli altri che si aprivano come il Mar Rosso davanti a Mosè. Se parlavano di qualcuno, ne parlavano per dire che l’avevano incontrato su Facebook.

Un vecchio amico, un professore di liceo dimenticato, un ex vicino di ombrellone. Persino in questi giorni, quando si parla della vittoria epocale di Obama, si dice che è stata epocale anche perché c’era Facebook.

Così sono entrato «in» pure io. L’ho fatto un po’ per sfinimento e un po’ per riuscire a parlare con quegli amici che per strada mi piantavano in asso dandomi poi appuntamento su Facebook.

In strada erano sempre di corsa, su Facebook stavano a parlare per ore. Perché «in» è tutto molto più tranquillo. Il mio ingresso l’ho fatto una sera di un paio di mesi fa, seguendo con attenzione le procedure. Ci sono entrato con la leggera apprensione che mi imperla le tempie ogni volta che mi avvicino a un oggetto con funzionamento appena più complesso della televisione. Di Facebook sapevo quasi tutto quel che c’era da sapere. Sapevo che si trattava di aprirsi una pagina personale, di scegliere una foto, di inserire qualche informazione su di me, la mia data di nascita, il mestiere, le mie passioni. Lo sapevo perché un’amica mi aveva fatto vedere la sua pagina. Quando l’avevo vista avevo capito che si trattava di aprirsi una specie di loculo, una tomba con la foto che guarda in faccia i passanti, che appunto passano e se hanno voglia lasciano dei bigliettini, cambiano l’acqua dei fiori. Appena ha saputo che ero entrato anche io, la mia amica era contenta e orgogliosa. Era contenta di esserne stata un po’ responsabile. Così non dovevamo più vederci per prendere un caffè in corsa, con i telefonini che suonano, le macchine, la fretta. I due mesi che ho trascorso su Facebook sono stati piuttosto movimentati. All’inizio mi arrivavano molte «richieste di amicizia» e io le ignoravo perché non sapevo chi fossero queste persone. Poi la mia amica mi ha detto che la regola di Facebook era di accettare le «richieste di amicizia», e che dunque la mia condotta era una condotta antisociale. Così da quel momento in poi ogni volta che mi è arrivata una richiesta io ho accettato. In due mesi sono diventato per così dire amico di quattrocento persone di cui non sapevo nulla, e di cui ora conosco la foto che hanno messo sul loculo e poco più. Mi sono trovato a conversare a notte fonda con uomini e donne che mi trattavano come se fossi il loro migliore amico, o mi maltrattavano come il peggior nemico. Mi sono visto tacciare di snobismo per non aver risposto, insultare per aver tardato ad accettare una così detta amicizia.

Ogni volta che ho fatto accesso alla mia pagina, qualche sconosciuto di cui avevo accettato la così detta amicizia si è affacciato da una finestrella dicendomi «Eccoti qui», come se fosse stato tutta la notte appostato dentro il mio androne aspettando di vedermi rientrare. Ho saputo di adulteri di persone più o meno famose scoperte grazie a Facebook, visto che su Facebook tutti vedono tutto quello in cui ciascuno è affaccendato. Sono stato contattato da compagni delle elementari, delle medie e delle superiori. Alcuni di loro hanno voluto a tutti i costi mandarmi delle fotografie per farmi vedere come eravamo. Se penso a tutti gli anni che ci ho messo, per riuscire a dimenticare come eravamo. Poi sono stato contattato da prime, seconde e terze fidanzate, che mi hanno detto «Ti ricordi?». Poi da amici di amici di amici persi a ragione e rimasti (a ragione) relegati in un passato lontano. Ho ricevuto inviti a unirmi a gruppi di ogni tipo, dall’«Obama party» al movimento «Antibimbominkia ». Di quest’ultimo movimento, che impiega il proprio tempo nel manifestare dissenso nei confronti dei seguaci dei Tokio Hotel, ho cominciato a ricevere ogni tipo di segnalazione: «No al bimbominkia su Facebook», «Il bimbominkia si è evoluto in orribile Sfigadulto », «Contro i Bimbominkia per un mondo migliore». Poi: sono stato contattato per ogni tipo di sottoscrizione, per comprare cd, libri, per partecipare a inaugurazioni di negozi, pedalate sociali, per provare prodotti cosmetici, unirmi a merende ambientaliste, ripensare alla rivoluzione maoista.

Ecco, dopo due mesi così ho chiesto disperato ai miei amici di uscirne. E loro disperati, con gli occhi sbarrati, mi hanno detto che non sanno come fare, che ci hanno provato ma non capiscono come si fa, quale procedura si debba seguire. Ne parliamo su Facebook, ciascuno dietro la propria inferriata, le braccia oltre le sbarre a rimestare nell’aria. E così, da qui, da dietro la mia grata mi è venuto in mente Michel Foucault, quando parla del Panopticon di Bentham. «Ogni giorno, anche il sindaco passa per la strada di cui è responsabile; si ferma davanti a ogni casa; fa mettere tutti gli abitanti alle finestre. Ciascuno chiuso nella sua gabbia, ciascuno alla sua finestra, rispondendo al proprio nome, mostrandosi quando glielo si chiede . Questa sorveglianza si basa su un sistema di registrazione permanente». All’inizio della «serrata» viene stabilito il ruolo di tutti gli abitanti presenti nella città, uno per uno; vi si riporta «il nome, l’età, il sesso, senza eccezione di condizione». È un sistema, dice Foucault, che ha un effetto sicuro: «indurre nel detenuto uno stato cosciente di visibilità che assicura il finzionamento automatico del potere perché l’essenziale è che egli sappia di essere osservato». Ne parlo anche con i miei così detti amici, di questo passo di Foucault. Gli dico che è dentro un libro che si intitola Sorvegliare e punire. Più che dirglielo, glielo urlo dalla finestra.

Per concludere, ho l’impressione che questo cosiddetto Social Network sia diventato un vero e proprio problema. Internet è una grande invenzione che possiamo utilizzare per il meglio, ma, purtroppo, al suo interno, lavora subdolamente il peggio del peggio. FB appartiene – a mio avviso – a questa categoria. Consiglio vivamente tutti i miei amici di abbandonarlo il più presto possibile. Il Grande Fratello lo stiamo alimentando noi. E domani potremmo pentircene amaramente.

C’è un altro aspetto, altrettanto grave dello spionaggio autorizzato dalle vittime stesse. Ogni volta che cediamo il nostro nome, la nostra fotografia, i nostri dati, i nostri gusti, insomma la nostra identità, facciamo una cosa precisa: cediamo una parte di noi a tutti quelli che se la vogliono prendere. Occorre prender coscienza che si tratta di un’azione che ha degli effetti precisi dal punto di vista energetico-sottile. Un conto è scrivere un articolo, un blog, un libro, una news letter, che ti pongono al di fuori del mare magnum del “pubblico”, un conto immergersi fino al collo in quella sorta di palude che è il pettegolezzo, il gossip, il tentativo più o meno palese di “rimorchio”, la speranza di pubblicità quasi gratuita, eccetera. In tal modo ci si immerge nell’immondizia generale, nel fango quotidiano che tanto efficacemente i media alimentano giorno per giorno.

Insomma … Come uscirne?

PS: Tutti coloro che ne escono sono pregati di lasciare un messaggio in questo Blog.

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14 aprile 2010 - Posted by | Cronaca |

9 commenti »

  1. ma quando torneremo a frequentare le piazze, i luoghi delle nostre città, a far vedere le nostre “faces” alle persone con cui stiamo bene? a riappropriarci delle nostre realtà urbane e del nostro tempo?
    spegniamo monitor e televisori e usciamo per strada… vediamo che succede…
    ciao
    saverio

    Commento di diavolorosso | 15 aprile 2010 | Rispondi

  2. PS: sono scappato da FB dopo qualche mese… entrato controvoglia e uscito di corsa…

    Commento di diavolorosso | 15 aprile 2010 | Rispondi

  3. Come dissi già sul forum qualche tempo fa, non la vedo così grigia. Molto dipende da come le cose si affrontano e se, per comprendere che l’unica libertà possibile è quella interiore, milioni di persone devono necessariamente scontrarsi con la FBdipendenza e tutto ciò che è collegato, ben venga!
    Personalmente cerco sempre di applicare la concezione “entrare nelle cose restandone fuori” ma questa sono io. Continuerò ad usarlo finchè non avrà esaurito, per me, le sue potenzialità.

    Commento di Luna di carta | 15 aprile 2010 | Rispondi

  4. Hai perfettamente ragione, Luna di Carta, anche se il problema vero non è d’ordine né spirituale, né psicologico, Nè sociologico. E’ un problema (assai grave) di privacy. Un giorno potremmo passare da un uso scorretto dal punto di vista commerciale – com’è ora – ad un uso criminale. Spero di sbagliarmi.

    Commento di zaro41 | 15 aprile 2010 | Rispondi

  5. Un anno fa sono entrata assolutamente senza nessuna coscienza delle implicazioni in FB, seminando incautamente dati sensibili. Mi sono ritrovata a fuggirna dopo solo due mesi (il modo c’è, basta cercare nella rete le possibili soluzioni). Ho aperto dopo mesi un altro account, ma no lo frequento, mi serve giusto da vetrina per files da condividere con pochi, fidati, amici.
    Meglio un blog, non c’è dubbio.

    Commento di rebirth010 | 16 aprile 2010 | Rispondi

  6. Parole sante caro Roberto. Io son resistito all’interno di questo social network di sfigati per due settimane. Poi non essendo capace di cancellare i dati definitivamente ho fatto una ricerca su google, trovando varie informazioni sul da farsi. Anche io ho scritto un post su questo argomento, un pò di tempo fà : http://giavie.wordpress.com/2009/06/26/mi-ero-iscritto-su-facebook/

    Commento di giavie | 21 aprile 2010 | Rispondi

  7. Leggo e comprendo appieno le parole di chi guarda ai cosiddetti social media (non solo Facebook, ma anche LinkedIn, Twitter…) come una macchina infernale che entra dentro alle case della gente, alla testa della gente e ne estrae informazioni per farne chissà cosa.

    Tutto vero.

    Allo stesso tempo, credo anche che l’intrusione sia controllabile, che sia nostra responsabilità e dovere, scegliere cosa si vuole condividere con gli altri (o regalare al sig. Zuckerberg, stesso valore).

    A me personalmente, giovane in fuga all’estero e libero professionista su più fronti, questi strumenti virtuali mi permetto di portare avanti contatti personali e lavorativi, missioni, obiettivi e progetti che in altro modo non riuscirei a fare.

    Un esempio: il luglio scorso, in seguito alla scomparsa di Micheal Jackson, 10 ragazzi (tra cui il sottoscritto) hanno insegnato ad una folla di 500 amatori nel parco di Amsterdam, una coreografia su musica di M.J. che è poi stata ballata in piazza da tutti. Il tutto coordinato tramite Facebook, Twitter, Iphones. Ora: chissenefrega se ci piace Micheal Jackson, se è morto o no, se era un’icona o un essere abominevole… non è questo il punto. Il punto è, (@diavolorosso): la gente era in piazza. Ed è stata una domenica meravigliosa, di sorrisi, entusiasmo e danza. Fisica, reale. Reale che diventa tale tramite il virtuale.

    Un altro esempio? Teheran, Iran. Durante le elezioni era commovente e potente la maniera in cui gran parte del mondo stava seguendo cosa succedeva nella città in subbuglio, dando consigli ai civili su cosa fare e cosa no per contrastare il regime, scavallando così il filtro giornalistico e producendo informazione pulita. Le autorità di regime non riuscivano a controllare questi canali di informazione. Dunque potere a chi potere non ha. Tutti sullo stesso piano. E’ un male, questo?

    Concordo che l’uso dei social media può apparire una perdita di tempo, e che la trappola del ‘mi attacco a Facebook e faccio i test e mi iscrivo ai gruppi bimbominkia’ esiste. Inoltre, sì, la privacy è attaccata – ma pensateci, per esempio, cosa succede ogni volta che prelevate al bancomat, o mandate un sms? I blog: sono tutti gratuiti, significa che c’è un host dietro, che archivia tutti i materiali. Le mail: stesso discorso. C’è sempre qualcuno al piano di sopra che sa tutto e osserva.

    Siamo tutti sfigati, dunque? Ma sfigati ‘de che’? Poichè abitanti del 2010?

    Credo che sia la Consapevolezza, e la capacità di sciegliere cosa dire, e cosa non dire, quello che può far dei social media arme potenti, o seducenti schiavitù.
    La scelta non è nè di internet nè di Zuckerberg.

    E’ solo nostra.

    Matteo

    Commento di Matteo G. | 23 aprile 2010 | Rispondi

  8. In fondo si tratta di un sistema aperto no? Milioni di variabili da considerare forse miliardi. Cosi’ tanto “aperto” non e’ se pensiamo che il calcolo distribuito e’ nato alla fine degli anni ’50: invece di supercomputer sono milioni di piccoli computer che lavorano su un modello matematico-statistico complesso a piacere.
    Non mi stupisco che Google lavori a questo super progetto con la CIA; tra l’altro google, per chi non lo sapesse, storicizza tutte le ricerche effettuate da milioni di utenti in tutto il mondo in tempo reale….
    nel 2000 pensavo che Bill Gates fosse l’anticristo, mi sbagliavo.

    Commento di Alessandro Zamperini | 12 gennaio 2011 | Rispondi

    • Forse non ti sbagliavi, solo che non è l’unico … Che ne dici?

      Commento di Roberto Zamperini | 12 gennaio 2011 | Rispondi


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